Regia di Gianni Aureli
con Teo Guarini, Alessandro Intini, Romeo Tofani, Ralph Palka, Marco Pratesi.
Genere: Storico-Drammatico – Italia, 2019, 100 minuti.
Una storia da raccontare, questa la premessa di chi ha voluto fortemente questo film, quella Storia aderente al patto associativo dell’AGESCI (Associazione Guide Esploratori Scout Cattolici Italiani) che ci richiama in campo: Siamo Antifascisti!
Memoria di valori e non di opinioni, che si pone oltre la paura del ricatto compromissorio che da ieri si tramanda fino ad oggi.
Il 9 aprile 1928 lo scautismo fu dichiarato soppresso dal Consiglio dei ministri. Ma un gruppo di ragazzi disse no.
Si chiamavano Aquile randagie. Ragazzi del gruppo di scout di Milano e Monza continuarono a svolgere attività scout in clandestinità, utilizzando la Val Codera (provincia di Sondrio) come luogo per le attività, i campi estivi, i fuochi serali. Li guidavano Andrea Ghetti, del gruppo Milano 11, detto Baden, e Giulio Cesare Uccellini, capo del Milano 2, che prenderà il nome di Kelly. Il fascismo non li ignorò: Kelly fu pestato a sangue da una squadraccia, in una notte d’autunno, e ci rimise l’udito da un orecchio.
Ma questo non bastò a fermare le Aquile. Dopo l’8 settembre 1943, insieme a Don Giovanni Barbareschi e ad altri parroci milanesi, diedero vita all’OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) che si impegnò in un’opera di salvataggio di perseguitati e ricercati di diversa nazione, razza, religione, con espatri in Svizzera attraverso i boschi e i monti che nessuno conosceva meglio di loro1.
Questo film è lodevole nell’intenzione ma meno nella realizzazione anche se intercetta un’urgenza etica, perciò anche politica, della nostra società. È sul piano della necessità storica e memoriale che il canto delle aquile randagie va ascoltato, assimilato e tramandato:
“CIÒ CHE NOI FUMMO UN DÌ, VOI SIETE ADESSO. CHI SI SCORDA DI NOI, SCORDA SE STESSO!”
La distribuzione mirata e capillare in tutto il territorio nazionale e la generosa affluenza degli scout italiani hanno premiato il film con un sorprendente botteghino (430mila euro di biglietti staccati), sale piene e 15mila spettatori al primo giorno di programmazione, che con i suoi 96mila euro d’incasso è stato secondo solo all’ultimo film di Tarantino.
Per onestà se analizziamo sotto una lente critica l’opera prima di Gianni Aureli noteremo una certa acerbità registica data dall’inesperienza. Tanta innegabile passione ma poco controllo del mezzo cinematografico, la buona volontà è sfociata in un fervore argomentativo troppo enfatico e verboso che hanno messo in luce le ingenuità di scrittura e di messa in scena che di fatto hanno spezzato il ritmo della pellicola.
Tutti errori perdonabili, sia chiaro, fare un film è una vera e propria impresa e farlo da indipendenti è ancora più faticoso, infatti il risultato visibile è quello di un grande lavoro di squadra migliorabile su alcuni aspetti. Encomiabile la preparazione storiografica e l’approfondimento tramite le fonti, elementi essenziali nel racconto di una storia vera.
Lo sforzo di tornare a ripensare quel tempo, l’importanza di conoscere queste persone e quello che hanno fatto, la sensazione d’immersione visiva in quella valle, la Val Codera, hanno permesso ai difetti e alle imprecisioni di rimanere in secondo piano.
Memorabili i titoli di coda con le riprese originali dei campi delle aquile randagie, i loro volti reali ci interpellano oltre lo schermo: non saranno (super)eroi ma sono quei giovani ribelli che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia dello scoutismo.
Andrea Borneto