Green Book: una doppia recensione, scritta per SDAC Magazine da Stefano Verardo e Mary Gabrielli.
Regia: Peter Farrelly
Attori: Viggo Mortensen, Mahershala Ali , Linda Cardellini
Green Book, è un film da vedere, soprattutto per tutti coloro che hanno voglia di una storia, nel più classico dei termini, qui non ci sono supereroi, effetti speciali, o smielati sentimenti. Il film di Peter Farrelly muove i suoi passi introducendoci nella vita di un’amabile e arrogante italo americano che fa della sua faccia e soprattutto dei suoi pugni lo strumento di lavoro e di sopravvivenza nella contradittoria America del 1962.
Il benessere consumistico, l’american way of life riempiono ogni inquadratura ma nella realtà Tony Lip, arranca per pagare l’affitto, le proposte di lavoro da parte della mala non gli mancano ma lui preferisce un lavoro onesto e dopo la chiusura del night dove lavora, una nuova e insperata opportunità gli arriva dal musicista afro-americano Don Shirley. Anche questo personaggio in modo diverso vede e respira il sogno americano e per quanto ne sia stato baciato, trattandosi di un musicista affermato, la sua specificità, di uomo di colore e omosessuale, lo mantiene ai margini. Le diverse e contrapposte solitudini di questi due uomini si scontrano nell’abitacolo della macchina con la quale attraverseranno gli stati del profondo e razzista sud degli USA, dove la segregazione razziale è sancita dalla legge e dimostrata dal turistico Green Book.
Alle volte i due si troveranno ad essere vicini come amici di vecchia data, talaltre le loro differenze culturali e caratteriali li obbligheranno a distanze siderali. Ma Tony non ha alcuna intenzione di smettere di parlare e il “damerino” Don Shirley sarà costretto a fare i conti con la sua solitudine e la strabordante umanità del buttafuori di Brooklyn. Una storia quella di Green Book che ci regala un nuovo punto di vista attraverso il quale ripensare a concetti quali integrazione, emigrazione, problemi di cui ancora oggi si auspicano le più diverse soluzioni ma di cui raramente si indagano le motivazioni.
Bianco o nero, compito o smargiasso, ignorante o colto, le dicotomie si moltiplicano nel confronto tra i protagonisti per risolversi e trovare la loro sintesi in un’amicizia che fa fronte a problemi concreti, quali evitare di finire in prigione ad altri più retorici come la comprensione dell’altro così distante da noi. Un film il cui ritmo sostanzialmente monotono è risollevato dai panorami americani la cui vastità si contrappone alla ristrettezza di vedute del pubblico dei concerti di Shirley. Una pellicola necessaria, da dedicare al popolo dei barconi e a tutte le diverse generazioni di migranti italiani che hanno conosciuto il razzismo.
Un racconto che ha il pregio per niente scontato di non parlarsi mai addosso, una narrazione pulita, che sa focalizzarsi (altra notevole caratteristica) su ciò che c’è di buono, anche in due protagonisti semplici di una storia vera, che con la loro umanità resistono e si oppongono ad una realtà che li obbliga ad un viaggio piacevole e violento allo stesso tempo, l’ennesima metafora della vita che trova però la sua certificazione nel mostrarci come i confini, le differenze, siano solo delle certezze nelle menti di chi si merita i pugni di Tony Lip. Magistrale l’interpretazione di Viggo Mortensen, che finalmente, aggiungo io, mostra la sua vera età.
Meritati premi e nomination, e coloro che sostengono che Green Book sia stato sovrastimato, lasciatemelo dire: o non l’hanno visto o non l’hanno capito. Aggiungo una nota di colore, all’uscita della sala nel foyer del cinema ho udito i peggio commenti sciovinisti e razzisti, e durante la visione mentre la figura a tratti macchiettistica di Tony ispirava risate, l’autorevolezza del protagonista di colore veniva messa in discussione da sbuffi e commenti. Un motivo in più che mi fa credere nella necessaria esigenza, di raccontare storie come quella di Green Book.
Recensione di Stefano Verardo
GREEN BOOK: IL VIAGGIO DI UN’AMICIZIA
Tra i candidati al Miglior film 2019 c’è Green Book diretto da Peter Farrelly: uno dei prìncipi della commedia americana demenziale degli anni ‘90. Un titolo tra tutti (per rinfrescarci la memoria), è Tutti pazzi per Mary diretto al fianco del fratello Bobby. Per Green Book Farrelly procede da solo e ne vale la pena perché ha diretto un road movie piacevole.
Ci sono film in cui la vita dei protagonisti è vincolata da un oggetto che determinerà la loro sorte. Accade con la bicicletta, unico mezzo di sostentamento, conquistata e poi rubata del papà di Antonio Ricci in Ladri di biciclette; ma anche in Revenge dove la mela è simbolo del corpo desiderato e poi violato di Matilda Lutz. In Green Book film l’oggetto incriminato è il “green book” ossia un libretto verde che scandisce le tappe del viaggio dei due protagonisti. Il libro verde elenca tutti gli alloggi in cui Don (e quindi tutti gli afroamericani), può alloggiare.
Il viaggio è un tema presente in tanti film perché porta con sé cambiamento: è quello che avverrà a Tony Lips (Viggo Mortensen) e a Don Shirley (Mahershala Ali). Tony è un uomo rozzo, italiano e bianco. Don è un uomo colto, elegante e nero. Sebbene Tony sia un bianco, l’essere italiano è discriminante per la società americana. Entrambi in modo diverso hanno sviluppato degli anticorpi che solo l’essere parte di una minoranza può creare. Tony è un uomo astuto che sa come ottenere quello che vuole dalle persone: penso alla scena in cui Tony salva la vita a Don dal manganello facile dei poliziotti abbindolandoli con una manciata di banconote. Tony sa farsi rispettare e non sempre usa le buone maniere; Don non è da meno: a testa alta, guidato dal proprio talento di musicista si spingerà verso il Sud per dimostrare di saper suonare il pianoforte come e forse meglio di un bianco.
Il compito di Tony è permettere a Don di comprendere la sua appartenenza ad una comunità di grandi artisti dai quali è nata la grande musica. Mentre Don insegnerà a Tony come affinare il proprio rozzo temperamento, quest’ultimo consiglierà all’autista come scrivere poetiche lettere alla moglie. I due protagonisti svilupperanno una simpatia tale da eliminare la barriera del colore della pelle. Alla fine il risultato di questo cambiamento si concretizza nella riscoperta del calore e dell’amicizia. Ambientato nell’America degli anni ‘60, Green Book racconta il Paese di oggi senza finti moralismi o scontate “americanate”, non si piange e si sorride in alcune scene. Non c’è violenza ma solo un’onesta riflessione. Concludo consigliando la visione del film in lingua originale perché Viggo Mortensen sorprende con il suo americano italianizzato.
Recensione di Mary Gabrielli