In questo periodo, di restrizioni alla nostra libertà, le pubblicità hanno decisamente abbracciato un nuovo stile comunicativo dettato dalla necessità del momento.
Il linguaggio promozionale e propagandistico dei maggiori marchi che conosciamo non ha abbandonato il suo lato patinato e glamour, ma ha scoperto una vocazione messianica.
I prodotti di fatto restano in disparte nella sottotraccia e fanno da cornice ad un messaggio di speranza per il futuro.
E così ci ritroviamo gli innamorati che dividono la pizza surgelata distanti ma in collegamento attraverso la webcam, la volpe della carta igienica che in una struggente animazione recupera una mascherina andata perduta per poi consegnarla nelle mani di un operatore sanitario, e ancora l’orgoglio nazional-popolare di produttori e distributori alimentari che con il loro lavoro hanno garantito i nostri rifornimenti.
Fornitori di servizi di telefonia e comunicazione rappresentati come il legame materiale che ha sostenuto i rapporti famigliari e sentimentali, per non parlare di banche e assicurazioni che si prodigano nel venirci incontro con sostegni economici convenienti dal carattere taumaturgico.
Insomma la comunicazione anti-covid al servizio del mercato è farcita a dovere di ipocrisie facilmente riconducibili alla farsa commerciale.
Che dire, il buonismo ci ha contagiati e vista la situazione di certo non ci si può lamentare e neanche stupire dell’andamento della comunicazione pubblicitaria e non solo.
Occorre però rendersi conto dei tranelli che si nascondono in questa martellante propaganda che parla degli eroi della crisi sanitaria e mostra poco decoro nella scarsa considerazione che ha delle numerose vittime fatte dal Corona Virus.
Però quando una nota marca di caffè sfrutta il meraviglioso monologo-comizio di Chaplin del suo “Il Grande Dittatore”, noi che amiamo il cinema, dopo esserci emozionati all’ascolto di quelle stupende parole, a mente fredda ci ricordiamo che in realtà il messaggio reso da quella scena era un pochino diverso.
Insomma a nostro sommesso parere, decontestualizzare quelle parole, facendone un abile taglia e cuci, non rende giustizia all’opera del grande Chaplin, mentre rischia di dare un po’ troppo lustro ad un’azienda che produce caffè sfruttando il lavoro delle piantagioni, diffuse in Asia, America Latina e Africa, dove uomini donne e bambini vengono pagati dai 2 ai 9 euro al giorno a fronte di una fatica massacrante, il tutto gestito da caporali che non conoscono neanche il significato della parola: sindacato.
“Non difendete la schiavitù ma la libertà!”questo ci dice Chaplin, facciamo nostro il suo consiglio e cerchiamo di distinguerci dalla folla osannante facendo lo sforzo di essere una folla pensante.
Quindi la nostra non rappresenta una critica, ma una semplice considerazione, e per sentirci tutti, un po’ meno ipocriti, vi consigliamo di andarvi a vedere “Il Grande Dittatore” di Chaplin del 1940.
Stefano Verardo