Earl Stone (Clint Eastwood) è un anziano floricoltore, reduce della guerra di Corea, che ha passato la vita dedicandosi principalmente al lavoro e marginalmente alla famiglia, mancando il matrimonio della figlia e divorziando dalla moglie Mary. Cercherà di rimediare anni dopo presentandosi al matrimonio della nipote ma, eccetto quest’ultima, il resto della famiglia lo invita ad andarsene perché non è ben accetto alla festa. Il pickup di Earl con ciò che resta della sua attività, colpita duramente dal progresso tecnologico (internet), fa pensare alla figlia e alla ex moglie che lui si sia ripresentato solamente per chiedere sostegno economico.
Prima di mettersi al volante, un invitato della festa raggiunge Earl e, capendo le difficoltà economiche del protagonista, gli offre un lavoro particolare ma pagato bene, ovvero fare da corriere per dei suoi amici. La passione per la guida e il non aver mai preso nè una multa nè l’essere stato mai fermato per un controllo dalla stradale fanno di Earl un ottimo galoppino che gli permetterà infine di avvicinarsi nuovamente alla famiglia, in un percorso non privo di difficoltà. Ispirato a una storia vera accaduta nel 2011, Eastwood, a quasi 90 anni, ci mette la regia e la faccia, in uno dei film più belli e riusciti dal 2000 a oggi, portando a casa un altro capolavoro.
Eastwood con molta più leggerezza narrativa rispetto a Gran Torino o Million Dollar Baby, sia sul piano estetico della pellicola che su quello del montaggio e del ritmo, addolcisce una storia semplice ma fitta di dettagli ruvidi, scorci su un’America ferma, debole, malata, vuota, dove per trovare un’identità ci si rifugia negli stereotipi e nella caricatura di sè stessi.
Dietro la macchina da presa Eastwood non incolpa nessuno, ognuno si trascina nella sopravvivenza di sè stesso, privo di onori e colmi di pietà. Non vi sono cattivi e buoni, ma animali randagi, sperduti, che inseguono la propria preda solo per sopravvivere, dimenticandosi dei veri valori e delle più alte responsabilità, prima su tutte, la famiglia.
“Se fossi stato senza un soldo ti avremmo voluto bene lo stesso” gli risponde la ex moglie quando Earl si giustifica di aver lavorato ed essere stato sempre assente per occuparsi del sostentamento della famiglia. Anche a 90 anni, per chi ci arriva, si può avere il tempo e la lucidità di rimediare. Ma quest’uomo non è delle ultime generazioni, bensì appartiene a un’educazione diversa, a un punto di vista diverso sul mondo, più vissuto.
Earl, che viaggia da sempre e non hai mai smesso di apprendere dal mondo, incontra molti personaggi sulla sua strada e ogni volta nasce un dialogo tra culture, origini, generazioni diverse, portando alla luce la bellezza di ciò che nasce da questi incontri. L’amore è il frutto della conoscenza e dell’accettazione del diverso, solo allora l’uomo potrà cominciare a vivere davvero.
Il “mulo” non è soltanto un corriere della droga, ma anche di un soffio caldo che spazza via la polvere sull’ipocrisia dell’onore, della carriera lavorativa, dell’orgoglio. Nemmeno i sicari e i membri del cartello sono dipinti come veri cattivi, anzi, per i quali si arriva a provare una sorta di tenerezza e simpatia, poiché per Eastwood, il vero antagonista della vita è il male che ognuno di noi fa prima di tutto a sè stesso.
Bravissimi oltre che lo stesso Eastwood, quasi 90enne ma con un’altissima forza espressiva, anche Bradley Cooper, Laurence Fishburne e Andy Garcia. Negli Stati Uniti il film ha già incassato oltre 100 milioni (a fronte di un budget di 50 milioni), un po’ meno nel resto del mondo, ma anche questa volta Clint Eastwood, dall’altissimo della sua interminabile carriera, ci ha regalato un’altra perla di formazione di vita che non si può lasciarsi sfuggire.