“Da giovane ero solito comprare tutti i giornali pulp. Li amavo. Sono stato davvero felice quando mi hanno assegnato la prima regia di fantascienza perché ne ero già un avido fan. E più facevo film quel genere più mi piacevano, dal momento che tutto lo studio mi lasciava solo. Fortunatamente nessuno in quel periodo era esperto nella regia di film di fantascienza, quindi mi sono proclamato io stesso un esperto. Non lo ero, ovviamente, ma allo studio non lo sapeva nessuno. Quindi nessuno si è mai permesso di discutere con me.”
In questa citazione c’è tutto Jack Arnold. Ironia, passione, fantasia, voglia di mettersi in gioco e cinema. Tanto cinema. Il regista americano, nato a New Heaven in Connecticut nel 1916, è riconosciuto a livello globale come uno dei grandi pionieri del genere fantascientifico. I suoi film sono entrati di diritto nell’immaginario collettivo, alla pari di manifesti filmici come L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel o La Guerra dei Mondi di Byron Haskin. La sua carriera è costellata di perle cinematografiche che nel giro di pochi anni hanno assunto lo status di cult. Negli ultimi decenni i suoi film sono spesso catalogati, a torto, come b-movie. Non che l’etichetta sia un malus a prescindere, ma nei suoi lavori si nasconde di più.
Gli inizi di Jack Arnold
La sua carriera inizia a Broadway, come attore, prima della Seconda Guerra Mondiale. Lavorava in cabina di regia solamente quando, con una piccola 16mm, riprendeva le scene dei suoi colleghi attori, per poi venderle al produttore di turno. Le conoscenze dirette come regista le sviluppa sotto le armi, grazie a un corso di cinema e propaganda pagatogli dall’esercito americano. Tornato in patria, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, apre una casa di produzione. Uno dei film da lui prodotti arriverà addirittura ad essere nominato agli Academy Awards. La Universal Pictures, notando le sue capacità artistiche e manageriali, lo mette sotto contratto per dirigere un film tratto da un romanzo dello scrittore di fantascienza Ray Bradbury.
Il film è It Came from Outer Space (Destinazione.. Terra!, 1953). Il film parla di esseri alieni che si impossessano dei corpi degli umani, per riparare la propria navicella schiantatasi negli Stati Uniti. È subito un grande successo di pubblico. La novità rivoluzionaria di questo film è l’idea di mostrare non un alieno invasore, bensì naufrago in difficoltà, costringendo lo spettatore ad una riflessione interiore. Temi come il rapporto con l’altro, l’inadeguatezza, la paura del diverso e i pregiudizi, saranno ricorrenti in quasi tutti i film del regista.
L’iconico Mostro della Laguna
Dopo lo scoppiettante esordio, Jack Arnold viene incaricato di girare una pellicola su uno dei più iconici incubi della cultura popolare americana, il Mostro della Laguna. Nasce quindi il film Creature from the Black Lagoon (1954), con Richard Carlson e Julie Adams. La pellicola narra le vicende di un gruppo di scienziati che si imbattono in una laguna rimasta incontaminata dall’epoca preistorica. Qui fanno la conoscenza di questo mostro umanoide e tentano di catturarlo per motivi economici e di studio. Anche in questo caso, come nel film sopracitato, torna il tema del diverso, sottomesso in questo caso alla furia economicistica e scientista degli esseri umani. Il film inaugura, insieme a Godzilla (1954), il filone degli eco-horror, sottogenere che vede come agente scatenante dell’orrore l’avidità dell’uomo nei confronti della natura.
La lavorazione del film fu lunga e impegnativa, ma anche divertente e piena di aneddoti. Nel ruolo de il Mostro venne scelto un giovane nuotatore, Ricou Browning, per la sua capacità di trattenere il respiro in acqua per svariati minuti. Questo evitò l’impiego di bombole che sarebbero state ingombranti e poco pratiche in fase di ripresa. Inoltre, alcune scene vennero girate al Parco Oceanografico della Florida, all’interno di alcune vasche. Nelle stesse erano presenti squali e altri animali potenzialmente pericolosi. Quando iniziarono le riprese, Jack Arnold notò la completa assenza di reti di protezione, che dividessero gli attori dalla fauna acquatica. La direzione gli spiegò che, in quanto sazi, gli animali non sarebbero stati un pericolo. Quindi, per convincere gli attori di ciò, lo stesso regista si tuffò per primo nella vasca, raccontando quanto segue:
“Ho chiuso gli occhi sul momento, dopo poco li riaprii a c’era un dannato squalo, di oltre tre metri e mezzo, con la sua bocca spalancata e lo sguardo su di me. Ad un tiro di schioppo. Non sapevo che cosa fare. Non sapevo se muovermi o rimanere fermo.. quindi ho chiudo si nuovo gli occhi. Mi sembrava la miglior cosa da fare. Poi si è strusciato su di me ed ho sentito la sua pelle sulla mia, era come la carta vetrata. Quindi ho gridato a quelli in superficie, Venite dentro, nessun pericolo!”
Successivamente Jack Arnold dichiarò che l’intera troupe si fosse abituata agli squali, tanto da scacciarli tranquillamente quando invadevano la zona della vasca adibita a set. Proprio in questo contesto, venne girata la scena più iconica del film: l’aggressione del Mostro ai danni di una giovane vestita di bianco, interpretata dalla stuntwoman Ginger Stanley, mentre nuota tranquillamente nella laguna. Una scena intrisa di erotismo, tratto che sottolinea la pulsione primordiale della natura e che rimanda ad un altro capolavoro della prima metà del novecento: King Kong (1933).
The Incredible Shrinking Man
L’apice della carriera di Jack Arnold arriva, molto probabilmente, con l’uscita nel 1957 di The Incredible Shrinking Man, tradotto in italiano in Radiazioni BX: distruzione uomo. Il film, manufatto pionieristico di effetti speciali e ambiantazioni quotidiane che si trasformano in puro orrore, racconta la storia di tale Scott Carrey, che dopo essere stato investito da una nube tossica vede ridurre le dimensioni del proprio corpo giorno dopo giorno. Questo, oltre a comportare un enorme disagio mentale dovuto alla progressiva inadeguatezza nei confronti del mondo, lo porterà a fronteggiare i pericoli del mondo piccolo mondo che sta quotidianamente ai nostri piedi. Ragni, animali domestici, trappole per topi, tombini, all’improvviso tutto diventa un pericoloso avversario per la propria sopravvivenza.
Ancora una volta il tema del diverso e dell’inadeguato fa capolino, proiettandoci in un incubo ad occhi aperti. Ma non solo, nella pellicola c’è anche una notevole cifra innovatrice. Durante la produzione del film verranno utilizzate tecniche per gli effetti speciali che rivoluzioneranno, da quel momento in avanti, la storia del cinema. La pellicola è una delle prime ad utilizzare la tecnologia blue screen, inizialmente sperimentata con sfondi di diverso colore e successivamente perfezionata. Le scene dove il protagonista fugge dai vari animali (gatto, ragno) che mettono a repentaglio la sua vita, sono profondamente manipolate, in modo da rendere coerente l’interpretazione dell’attore con l’inserimento successivo degli effetti speciali. Ci volle un po’ di tempo, ma il risultato, per l’epoca, fu estasiante.
Gli “altri” effetti speciali
Oltre all’impiego di tecnologia innovativa, Jack Arnold sperimentò con l’ingegno ulteriori effetti speciali. La pioggia nel film è un altra minaccia centrale per la sopravvivenza del piccolo protagonista. Ci furono delle difficoltà a simulare la caduta di gocce giganti, pertanto il regista scavò nei ricordi d’infanzia per risolvere il problema:
“Mi sono ricordato di quando da bambino ero malato e trovai una scatola di contraccettivi. Non sapevo che cosa fossero a quel tempo ma scoprii che erano perfetti da riempire di acqua per farci delle bombe. Le sganciavo dalla finestra, sulla testa delle persone e nella caduta assumevano questa forma a goccia. Così sono riuscito ad averne uno allo studio, l’ho riempito di acqua e ho detto ad uno dei ragazzi di lasciarlo andare dalla cima di un’impalcatura. È venuto fuori che la proporzione era perfetta e si infrangeva a terra come una vera goccia d’acqua. Ne ordinai un centinaio e modificammo una specie di mulino a pale per lasciarli cadere ad intervalli precisi.”
Ma la parte più divertente doveva ancora arrivare. Verso la fine delle riprese l’ufficio della produzione convocò con urgenza il regista, per discutere di alcune questioni importanti riguardo al bilancio delle spese. Questi chiesero a Jack Arnold per quale motivo come nota a bilancio risultassero un quantitativo incredibile di contraccettivi. Il regista non perse il suo proverbiale senso dell’umorismo e rispose:
“Ragazzi, è stato un film davvero duro e abbiamo lavorato così duramente che abbiamo deciso di festeggiare alla grande alla fine delle riprese!”
Il resto della carriera
Jack Arnold si cimentò in diversi generi. Come ad esempio nel western, con due pellicole: Duello a Bitter Ridge (1955) e Tramonto di Fuoco (1956). Fece incursioni anche nel dramma a sfondo sociale con La Tragedia del Rio Grande e Il Vestito Strappato, entrambi del 1957. La fine degli anni cinquanta e il progressivo declino del genere fantascientifico lo portarono altresì ad abbandonare le tematiche sociali, lasciandosi trasportare da generi e sceneggiature assai meno incisive. Il suo ultimo film risale al 1976. Morirà nel 1992 in California, all’età di 76 anni. Il suo nome rimane scritto ancora oggi nella Storia del cinema, continuando ad affascinare e ad ispirare le nuove generazioni di cineasti. Ad esempio, vi ricordare The Shape of Water, film di Guillermo Del Toro, vincitore di quattro premi Oscar nel 2018? Provate ad indovinare a cosa è stato ispirato l’aspetto del protagonista.
A proposito, il film di Del Toro è una sorta di simbolica rivincita che gli esclusi, gli ultimi, i diversi, si prendono nei confronti di chi li ha soggiogati, sfruttati e umiliati. Più di cinquant’anni dopo il Mostro della Laguna Nera riesce a farsi accettare, addirittura amare. Le scene iconiche cambiano in questo modo: dall’aggressione su Che sia un segno dei tempi che cambiano? Ce lo auguriamo. Anche Jack Arnold ne sarebbe contento.