La ballata di Buster Scruggs (Joel e Ethan Coen, 2018), presentato inizialmente alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (in cui ha vinto il Premio Osella per la migliore sceneggiatura), è stato successivamente distribuito da Netflix sulla rispettiva piattaforma digitale.
Pur essendo stato inizialmente concepito come miniserie composta da sei episodi, il lungometraggio presenta una struttura narrativa solida e gli episodi di cui è costituito, pur essendo diversi l’uno dall’altro, non intaccano la coerenza narrativa del prodotto. Ogni storia è intervallata da quella successiva dallo sfogliare di un libro che introduce e conclude ogni episodio del racconto, nonché efficace metodo di cornice narrativa che rimanda lo spettatore ad una dimensione favolistica e simbolica.
Assieme ad una sceneggiatura ben strutturata, i fratelli Coen si sono serviti anche di un cast d’eccezione dal quale spiccano particolarmente un tenebroso James Franco ed un tragico Liam Neeson. Come già accennato, la trama de La ballata di Buster Scruggs è suddivisa in sei episodi che hanno come argomento comune il leggendario Far West. Essi però non sono “omaggi” al passato del cinema (cosa che si può facilmente pensare conoscendo il genere di film), ma destrutturano, sin dal primo racconto, quello che è stato il genere western per dargli una dimensione reale a tratti metaforica.
La storia del Far West viene spodestata dalla sua accezione “mitoforica” e i suoi protagonisti si muovono in spazi la cui natura selvaggia non è né matrigna né benevola ma cornice essenziale delle vicende umane dettate, fin troppo spesso, dall’avarizia e dalla superbia, entrambe portatrici di morte. Essa, in maniera implicita o esplicita, è onnipresente durante tutto il film, e, in una visione oggettiva quasi cinica, è capace di colpire qualsiasi personaggio in qualsiasi momento, nemmeno gli scherzi del destino riescono a interrompere il suo operato. Nel mondo western dei Coen non esiste spazio né per la cultura né per l’amore, ma nonostante questo, esistono personaggi positivi che cercano in qualsiasi modo la bianca felicità in un mondo fatto da troppe varianti di grigio.
In esso non trova nemmeno posto la figura leggendaria del “cowboy” che viene presentato in tutta la soggettività, non esistono mandriani totalmente positivi o totalmente negativi, essi rappresentano l’umanità con la sua bramosia di potere e la sua tragica fragilità. Il Far West da dimensione mitica diventa dimensione reale e intima, luogo in cui l’uomo cerca di sopravvivere dalla natura pericolosa ma, soprattutto, da sé stesso.
In conclusione, i Coen sono riusciti a prendere le peculiarità di un preciso genere cinematografico portandole ad un linguaggio strettamente contemporaneo che rispecchia in tutto e per tutto la loro autorialità. Dal primo minuto sino ai titoli di coda, lo spettatore si ritrova davanti un’opera il cui motore principale è sì l’amore verso il genere western ma esso diventa anche vincolo per esprimere la propria visione del mondo e della natura umana. Non resta che augurarvi buona visione.
Articolo di Riccardo Raffo