La parola al lettore: Cocaine

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Cocaine – la vera storia di White Boy Rich di Yann Demange

Recensione di Francesco Bianchi

La storia vera di Richard Wershe jr., adolescente che vive nella più degradata periferia di Detroit degli anni ottanta, insieme al padre Richard Wershe Sr., un uomo che sbarca il lunario vendendo armi alle gang nere e alla sorella maggiore tossicodipendente.

Il piccolo Rich, subito dopo aver abbandonato la scuola, trascorre il suo tempo frequentando suoi coetanei di colore, figli di componenti di gang di spacciatori, o bighellonando con il padre tra le fiere di armi in cerca di buoni affari. Il film inizia come un gangster movie, come ne abbiamo visti a centinaia, con il protagonista che muove i primi passi in ambienti criminali, ma subito dopo il regista Demange cambia percorso, ci mostra la degradazione di una periferia americana quasi post atomica, coperta da ghiaccio sporco e neve grigia, squallida, fredda e sporca come i personaggi, costretti nella morsa della crisi economica; violenza, tre black gangs e poliziotti corrotti pronti a tutto, coperti e giustificati dalle ferree leggi antidroga della politica reaganiana. Le cose si complicano quando un team composto da agenti di polizia e dell’Fbi, prendono di mira il piccolo Rich e le sue frequentazioni con una grossa banda di spacciatori neri. Con poca fatica ne fanno il loro informatore, iniziandolo al mondo dello spaccio. Grazie alle sue informazioni gli agenti sgominano l’organizzazione criminale e scoprono un sistema di corruzione che coinvolge trasversalmente agenti di polizia e importanti funzionari, fino ad arrivare all’ufficio del sindaco di Detroit.

Il piccolo Rich, creatosi importanti contatti, convince il padre a entrare nel mondo dello spaccio per uscire da una condizione economica disastrosa. Polizia e Fbi piomberanno su di loro, accanendosi in particolar modo sul piccolo Rich e destinandolo all’ergastolo.

Criminali e poliziotti si confondono, crudeltà e spietatezza stanno da tutte e due le parti, poco importa se ad andarci di mezzo sono i più deboli e gli indifesi. Dura condanna all’America ultraliberista di Reagan, il regista ci mostra il lato oscuro e tremendo del sogno americano, a spese di intere generazioni senza alternative, ingenue e pronte a tutto pur di fuggire a una condizione di vita al limite dell’umano. I ragazzini delle strade senza nessuna guida, condotti al macello, affrontano ingenuamente situazioni più grandi di loro, e vengono sterminati dalla droga e da un sistema feroce, corrotto e crudele che guarda con ammirazione allo yuppismo che si sfarina di coca, ma che usa il pugno di ferro contro i neri e gli emarginati che si danno allo spaccio perché senza alternative.

Richie Merritt, all’esordio assoluto, incarna molto bene l’ingenuità di cui il suo personaggio ha bisogno, McConaughey è perfetto nella parte del padre sognatore e ottimista che ama disperatamente i suoi figli e cerca con ogni mezzo di tenere insieme i pezzi della sua famiglia, ma incapace di proporre un’alternativa.

Grande Bruce Dern, nella parte del nonno di Rich, e non dimentichiamoci di Jennifer Jason Leigh che interpreta un’algidissima e spietata agente dell’Fbi.

Yann Demange dopo l’originalissimo ‘71, e quella chicca che è la mini serie zombie inglese Dead Set, convince di nuovo con questo suo esordio hollywoodiano, forse inciampa alla fine con eccessi di mélo, e rimane un po’ troppo legato ad alcuni cliché, ma di questi tempi ce ne fossero di film targati Hollywood come questo.

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