Le follie di Ciro Ippolito: da “Alien 2” a i film con gli Squallor

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Un'immagine promozionale per il film "Arrapaho" (1984)

Oggi facciamo gli auguri a uno dei personaggi più eclettici, controversi e dinamici del vasto e variegato mondo della cinematografia italiana. Parliamo di Ciro Ippolito. Regista, sceneggiatore, produttore e attore napoletano. Uno di quei nomi che dicono tutto e niente, che legano a sé professionalità e temperamento anarchico, alto e basso, sacro e blasfemo.

Inizia la sua carriera quasi per caso, facendo delle pose per la miniserie TV “Agostino d’Ippona“, diretto da Roberto Rossellini nel 1972, raccogliendo i complimenti del Maestro italiano. Per non annoiarsi e non rischiare di cadere nel banale, Ippolito da questa esperienza passa direttamente alla produzione di alcuni film di Mario Merola:

Un giovane Ciro Ippolito dietro la macchina da presa.

Nel 1980 decide di passare in cabina di regia, affascinato dai prodotti che provenivano in quel periodo dal cinema statunitense. Scrisse e diresse “Alien 2 – Sulla terra“, che non ha nessun legame con il film di Ridley Scott. La pellicola fu un flop clamoroso, un b-movie senza speranza, che entrò comunque in certa leggenda del cinema italiano. Soprattutto per le vicende che accompagnarono la sua uscita: decine di denunce da parte dei produttori del vero “Alien” (tutte perse) e un budget così ristretto che costrinse i produttori ad utilizzare trippe e interiora di animale per simulare le scene di violenza (sotto consiglio di Mario Bava) o per lo schiudersi delle uova di alieno.

Scena dal film “Alien 2 – Sulla terra”. Un po’ di interiora di vacca e passa la paura!

Altre pellicole rilevanti nella storia professionale di Ciro ippolito, sono senza alcun dubbio quelle girate con il gruppo rock demenziale degli Squallor: “Arrapaho” e “Uccelli d’Italia“, entrambe uscite nel 1984. Film ritenuti orrendi, volontariamente brutti, composti da scenette che tendono a diluirsi per raggiungere la lunghezza minima del prodotto e che il regista stesso definisce così:

“La cosa che in pochi hanno capito è che “Arrapaho” voleva e doveva essere brutto perché la chiave comica risiedeva proprio nella bruttezza. Era un’ operazione dadaista, Arrapaho. Altroché.”, aggiungendo “Guardi, per me Arrapaho e il successivo “Uccelli d’Italia” sono i film più belli del mondo.”

Se lo dice lui, possiamo fidarci? Qualunque sia la riposta, auguri! (A lui e a voi, vi serviranno nel caso vogliate godervi un pezzo di storia del cinema trash italiano).

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