Parasite. Regia di Bong Joon-ho. Un film con Song Kang-ho, Sun-kyun Lee, Yeo-jeong Jo, Choi Woo-Sik, Park So-dam, Hyae Jin Chang Titolo originale: Gisaengchung. Corea del sud, 2019, durata 132 minuti
Vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2019.
“Il principio della metafora visiva è giusto nella vita onirica o normale; sullo schermo, si impone” (Estetica delle metafore in L’Essenza del Cinema – scritti sulla settima arte di Jean Epstein)
Non è mai stato un cinema intellettuale ne intellettualoide quello del regista sudcoreano Bong Joon Ho, è piuttosto un cinema di genere e di generi ossia popolare ma mai cialtrone, anzi si è sempre contraddistinto per la sua componente molto politica sempre tesa a rappresentare il conflitto tra classi, prediligendo metafore esplicite di diseguaglianza sociale. Un principio metaforico non confuso e suggerito ma visibile, concreto, addirittura programmatico e consapevole come dichiarato abilmente in una delle prime scene di Parasite: nel momento in cui alla famiglia che vive nello scantinato viene regalato da uno studente universitario una roccia che dovrebbe portare ricchezza materiale alle famiglia, il figlio:”Min! Questo è così metaforico“, il padre aggiunge:”Di sicuro è un regalo molto opportuno“, mentre la madre:”Il cibo sarebbe meglio“. Una commedia familiare pronta a sparigliarsi nel grottesco gioco violento di un immaginario lirico-visivo che si impone freddo come un coltello tra i polmoni. Un cinema in cui le metafore non sono astrazioni ma oggetti materici, armi contundenti come la roccia, così in Parasite così in Madre (2009). Quest’ultima opera di Bong joon Ho è un presagio rocambolesco, un gioco cinico di inganni ma anche un affinato studio recitativo e di assegnazione delle parti, un meccanismo pronto ad esplodere in un cortocircuito di verità nascoste. Non c’è pietismo verso i reietti ma piuttosto un gioco al massacro dei bassifondi, guerra tra poveri e emarginati, ovviamente nascosto negli scantinati e negli spazi claustrofobici, cosìcché i ricchi decorosi abitatori della superficie (comunque feticisti) non vedano il marcio, la violenza e la bruttura di ciò che gli sta sotto: la quarantena della povertà. Il classismo è un filo rosso presente anche nei lavori precedenti del cineasta, soprattutto in Memories of Murder (2003), Madre e Snowpiecer (2013), dove è sempre presente un lavoro di messa in scena del sudicio, del malandato, dello sporco, che in Parasite è coniugato al fetore invisibile di chi non è padrone ne architetto del successo. Il regista sudcoreano attua l’analisi delle condizioni di disparità in una visione multiprospettica caricandola con sferzante e tagliente amarissima ironia ma soprattutto mettendola in relazione alle dinamiche dello spettacolo nero dell’orrore.
“Guarda che io ti pago un extra per questo!“
I parassiti non lottano per emanciparsi ma solo per avere la cuccia accanto (anzi sotto) al padrone truffato e accontentarsi di una sussistenza, questa è la vera faccia dell’ambizione borghese, piazzarsi e sentirsi a posto e finché qualche sempliciotto ricco mi sostiene carcerarsi e deresponsabilizzarsi: mi basto e mi basta. La rivolta è però un’esplosione di rabbia dignitosa dopo un accumulo di sopportazione servile ma destinata ad esaurirsi in un buco buio e puzzolente, dove non prende il wi-fi, dove non c’è speranza e dove tutto è cominciato.
Andrea Borneto
Qui sotto il video dell’approfondimento su il cinema di Bong Joon Ho tenutosi lunedì 11 novembre alla Stanza del Cinema nella sala della Società Ligure Storia e Patria a Palazzo Ducale, a cura di Andrea Bosco ( Gruppo Ligure – SNCCI)