La sezione “Orizzonti” del Festival del Cinema di Venezia 75 è stata inaugurata con grande successo con la proiezione di Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. Da allora ne abbiamo atteso l’uscita nelle sale con grande curiosità e trepidazione. Ci si chiedeva anche come ci si sarebbe potuti approcciare a fatti ancora a noi così vicini (il processo è ancora in corso, lo ricordiamo): il film racconta degli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, morto durante la custodia cautelare il 22 ottobre 2009.
Il film poi non ha vinto nulla a Venezia, ma ha avuto ottimi riscontri dalla critica ed è stato apprezzato dai familiari di Cucchi e da chi, come la sorella Ilaria (nel film interpretata da Jasmine Trinca), conduce una lotta quotidiana ed estenuante alla ricerca della giustizia per Stefano.
La SDAC ha scelto, per questa occasione, di assistere alla proiezione presso il Centro Sociale Occupato Autogestito Pinelli di Genova. Facciamo un passo indietro: il CSOA Pinelli, come tantissimi altri spazi autogestiti, centri sociali, associazioni e collettivi universitari di tutta Italia, ha deciso di proiettare il film gratuitamente (andando però incontro alla violazione copyright di materiale protetto, e dunque alla censura degli eventi pubblicati su Facebook anche su spinta, pure legittima, da parte delle due case di distribuzione) in modo da poterlo diffondere il più possibile e creare dibattito e discussione, cosa che normalmente nelle sale cinematografiche “tradizionali” non accade: a maggior ragione, essendo il film di Lucky Red e Netflix, è già visibile sulla piattaforma online di quest’ultima, per cui l’occasione di una visione collettiva è di per sé negata. Si spiega quindi questa scelta di offrire la possibilità di affrontare questa esperienza in condivisione.
Si tratta di un caso particolare, dove il film, a detta di molti, è un film necessario: era forte l’esigenza di restituire una vita a quella maledetta foto di Cucchi sul tavolo dell’autopsia che tutti conosciamo. È un film utile, che permette di approfondire ciò che alla maggior parte di noi è giunto solo tramite echi di giornali e dibattiti televisivi. È un film importante: Cucchi è il caso emblema che porta alla luce altrettanti (troppi) casi di morti misteriose nelle carceri italiane.
È soprattutto un film doloroso, che restituisce il senso di claustrofobia e l’idea spaventosa di essere sotto un continuo ricatto, di non potersi fidare di nessuno e di stare a un sadico gioco di cui non si conoscono le regole. Il protagonista è smarrito, abbandonato e sofferente e lo spettatore si sente altrettanto solo e spaesato: non esistono personaggi o espedienti narrativi che permettano allo spettatore di mettersi comodo sulla poltrona a godersi lo spettacolo, perché viene presentata la realtà dei fatti, in maniera asciutta e soprattutto in alcun modo retorica.
Niente fronzoli: ci si avvicina molto al documentario, e questo è reso possibile anche dalla bravura di Alessandro Borghi che entra effettivamente nella pelle di Stefano Cucchi, attraverso una trasformazione radicale nel fisico, nella voce e nell’atteggiamento (l’attore per interpretare il ruolo ha perso venti chilogrammi di peso corporeo e ha affrontato, per poter comprendere al meglio lo stato psicofisico di Stefano, diversi giorni di astensione dal cibo).
È un film scrupolosamente scritto: Cremonini e la sceneggiatrice Lisa Nur Sultan hanno studiato capillarmente migliaia di pagine di verbali per poter raccontare i fatti senza essere di parte. D’altro canto, ciò che succede nel film è talmente assurdo, che a tratti si rimane senza fiato ed è difficile e straziante ricordare che si tratta della realtà dei fatti.
L’ultimo pugno arriva con i titoli di coda, accompagnati dalla voce impastata e sofferente di Stefano, nel momento della sua prima e ultima deposizione in tribunale. Lo spettatore difficilmente riesce a stare fermo sulla sedia, l’angoscia prende alla gola: l’istinto è quello di urlare, di alzarsi.
Alla fine di questo viaggio durato circa 100 minuti, a dire il vero c’è poca voglia di fare dibattito: e questo vale per tutti, per i più o meno informati sul caso Cucchi; chiunque ne è uscito con un macigno sull’anima. Nessuno ha voglia di schierarsi da una parte o dall’altra, il film d’altra parte non lascia questo compito, poiché illustra perfettamente le debolezze e fragilità di tutte le parti, comprese quelle del protagonista: non si vuole fare di Cucchi un santo, un eroe o un martire. Nessuno, a partire dai familiari l’ha mai fatto del resto. In questo caso non si ha molta voglia di parlare della bravura del regista e degli attori, della bellezza di una o l’altra scena. Ma ha il pregio di richiamare l’attenzione su un punto: quello che è accaduto sulla pelle di Stefano potrebbe accadere sulla mia, sulla tua, sulla nostra pelle.
Il film è distribuito contemporaneamente nelle sale cinematografiche italiane e su Netflix dal 12 settembre. A Genova è proiettato da Circuito Cinema Genova presso il cinema Ariston, in vico San Matteo 14.
a cura di Miriam Folloni