The Invisibles è un documentario che potremmo definire scomodo e necessario allo stesso tempo, scomodo poiché ci obbliga a fare i conti con la nostra morale, in quanto si presume che in un paese del ricco occidente come l’Italia certi panorami da romanzo di  Émile Zola, non dovrebbero esistere, invece ci sono eccome, una realtà che si basa sullo sfruttamento dei migranti, i cui diritti fondamentali non vengono ancora riconosciuti, quindi ecco che arriva la necessità di documentari come questo, che dovrebbero imporci una presa di coscienza e il superamento dei luoghi comuni sciovinisti che rappresentano il cuore di molta propaganda.
 
Il documentario ci racconta la battaglia di Aboubakar Soumahoro, la lotta quotidiana del sindacalista italo-ivoriano ed ex bracciante  che chiede diritti per i braccianti più sfruttati, spesso immigrati.
Come racconta all’Espresso una delle autrice:“«Il distanziamento sociale è un privilegio» sono le parole  di Aboubakar che ci sono entrate dentro e abbiamo tenuto dentro di noi, per mesi”.
I braccianti sfruttati nel lavoro dei campi, di fatto rientravano tra quelle categorie definite essenziali durante il lockdown, ma in questo caso hanno vinto le diseguaglianze, in quanto questi moderni braccianti non hanno mai avuto un’assistenza sanitaria o il privilegio di poter lavorare da casa e proteggersi dal contagio.
Le due autrici Diana Ferrero e Carola Mambertoerano alla ricerca di una storia che evidenziasse come anche durante la quarantena le minoranze e gli immigrati abbiano subito discriminazioni, anche negli USA, gli strati più poveri hanno avuto meno probabilità di poter lavorare da casa. E la popolazione nera e quella ‘brown’ (di latino americani), non a caso, sono state le più colpite dal Covid (come denunciato da Spike Lee e molti altri).
Raccontando la genesi di The Invisibles la Ferrero  racconta: “«C’è un sindacalista, un nuovo leader, che mi sento potrebbe essere la nostra guida» mi ha detto Carola. E ho sentito una vibrazione nella sua voce, un’emozione che mi ha convinta. La sera stessa abbiamo mandato ad Aboubakar Soumahoro la nostra richiesta, e lui ci ha gentilmente, in modo formale ma subito intimo garantito l’accesso, la fiducia“.
E continua:“Da lì sono iniziati due mesi di lavoro ininterrotto. Fare un documentario è un’operazione artigianale. Soprattutto se “fatto in casa” come lo abbiamo fatto noi. Durante il lockdown. A distanza. Io chiusa in camera, scrivendo e facendo reporting sull’Italia, con due bambini che bussavano alla porta per chiedere aiuto a fare i compiti. Carola nel suo basement, dirigendo insieme a me le riprese a distanza, mentre montava il pezzo da sola, sul suo computer, tra un’interruzione e l’altra dei figli”(fonte L’Espresso).
Il documentario ci porta a seguire Aboubakar mentre viaggia tra i campi della Puglia raggiungendo i molti ghetti in cui sono costretti a vivere i migranti braccianti che risiedono nel nostro paese anche da più di dieci anni, ed ecco che non possiamo fare a meno di porci delle domande scomode, a cui il sindacalista di origini ivoriane da tutte le risposte.
Anche il lockdown ci ha mostrato come le differenze non scompaiano mai, come evidenzia The Invisibles, “A livella” come sosteneva Totò in questo caso non funziona.
Guarda il documentario di Diana Ferrero e Carola Mamberto su YouTube, è stato prodotto e distribuito dalla piattaforma globale Doha Debates.

S.V.