Recensione di Mary Gabrielli
Lo scorso 27 febbraio alla rassegna Visioni italiane organizzata dalla Cineteca di Bologna è stato proiettato in versione restaurata in 4K Totò che visse due volte (1998) di Ciprì e Maresco. Il titolo è emblematico poiché questo film ha effettivamente vissuto due vite: quella prima e quella dopo l’accanimento della censura. Quest’ultima giudicò il film disgustoso e blasfemo, bloccandone l’uscita nelle sale con l’accusa di degradare la dignità del popolo siciliano offendendo il buon costume. I registi affermarono che occorreva assumersi la responsabilità del recupero di uno sguardo forte e morale nei confronti della realtà. Il processo che ci fu, assolse il film che poté circolare nelle sale senza nessun taglio.
L’opera è divisa in tre episodi impregnati di un forte realismo: gli attori non sono professionisti e recitano in dialetto siciliano seguendo un canone estetico oggettivo. Sono brutti, degli autentici freaks (differenti da quelli di Freaks del 1932). I Freaks di Ciprì e Maresco sono avidi, sfatti fisicamente, in preda alla necessità di soddisfare i propri istinti e bisogni sessuali. In essi c’è la totale mancanza di amore, razionalità e senso religioso. Ci sono molte scene eloquenti che mostrano la totale assenza e disprezzo per la religione come la scena in cui un angelo viene sodomizzato da tre uomini enormi ed un’altra in cui il disabile del paese si masturba contro la statua della Madonna.
Forse non è un caso che in questo film non ci siano le donne ma solo uomini come a voler presagire l’estinzione di queste creature. Il film realizzato dai due autori siciliani è caratterizzato da una propria estetica assolutamente non conforme all’idea di cinema commerciale che dominava (e domina) nella produzione italiana. Con questo film prendiamo coscienza di un modo di realizzare film inteso come opera d’arte, dove vige la necessità di manifestare impegno etico e senso morale piuttosto che cercare un prodotto commerciale di facili incassi.