This is America (yeah, yeah) Don't catch you slippin' up (woah, ayy) Don't catch you slippin' up (ayy, woo) Look what I'm whippin' up (ayy)
La voce black, risuona sempre di più al cinema del multisala, se in passato la condizione afro-americana era relegata come appendice politically correct o al cinema indipendente ora scavalla e riempie le sale, veramente credevate che Black Panther potesse vincere l’oscar?
È lì che Us si inserisce, nella cultura pop-intellettuale che in america ha in alcuni rapper le menti più creative, fatevi un giro di videoclip e capirete il livello, con Kendrick Lamar e Childish Gambino alias Danny Glover, creatore della serie Atlanta, che sono i mattatori.
Jordan Peele dopo il fortunato Scappa – Get-Out rimette in scena un horror sulla disparità sociale. A differenza del primo, che godeva ancora dell’effetto sorpresa, qui si nota una netta esplicitazione che destabilizza la sua connotazione di genere, promuovendo uno stato autoriale ancora traballante.
C’è una ricerca di massa che non ha la stessa forza dirompente del black rap poc’anzi citato ma anzi sembra occupare uno spazio, quello del mercato cinematografico, con scelte formali compromissorie. L’autore forza lo sguardo declamando l’intento e ricerca l’intrattenimento attraverso l’horror contemporaneo con un classico gioco del doppio, sviluppato più con clichè che con originalità.
La famiglia nera borghese lotta contro se stessa, ognuno dovrà vedersela con la propria ombra in un meccanismo costruito come una stanza di specchi. Di riflesso però troppi specchi causano disorientamento come il twist finale che visto a ritroso zoppica. Il secondo film di Peele ha però il pregio di avere un mood serio ma anche scanzonato, purtroppo poco equilibrato, che lo accomuna più a un Childish Gambino piuttosto che a un Kendrick Lamar.
Us parla di noi e parla dell’America (US.A) e questo è reiterato all’interno del film, le ombre siamo chiaramente Noi, This is America e l’abbiamo capito.
un articolo di Andrea Borneto
This is America (yeah, yeah) Don't catch you slippin' up (woah, ayy) Don't catch you slippin' up (ayy, woo) Look what I'm whippin' up (ayy)
La voce black, risuona sempre di più al cinema del multisala, se in passato la condizione afro-americana era relegata come appendice politically correct o al cinema indipendente ora scavalla e riempie le sale, veramente credevate che Black Panther potesse vincere l’oscar?
È lì che Us si inserisce, nella cultura pop-intellettuale che in america ha in alcuni rapper le menti più creative, fatevi un giro di videoclip e capirete il livello, con Kendrick Lamar e Childish Gambino alias Danny Glover, creatore della serie Atlanta, che sono i mattatori.
Jordan Peele dopo il fortunato Scappa – Get-Out rimette in scena un horror sulla disparità sociale. A differenza del primo, che godeva ancora dell’effetto sorpresa, qui si nota una netta esplicitazione che destabilizza la sua connotazione di genere, promuovendo uno stato autoriale ancora traballante.
C’è una ricerca di massa che non ha la stessa forza dirompente del black rap poc’anzi citato ma anzi sembra occupare uno spazio, quello del mercato cinematografico, con scelte formali compromissorie. L’autore forza lo sguardo declamando l’intento e ricerca l’intrattenimento attraverso l’horror contemporaneo con un classico gioco del doppio, sviluppato più con clichè che con originalità.
La famiglia nera borghese lotta contro se stessa, ognuno dovrà vedersela con la propria ombra in un meccanismo costruito come una stanza di specchi. Di riflesso però troppi specchi causano disorientamento come il twist finale che visto a ritroso zoppica. Il secondo film di Peele ha però il pregio di avere un mood serio ma anche scanzonato, purtroppo poco equilibrato, che lo accomuna più a un Childish Gambino piuttosto che a un Kendrick Lamar.
Us parla di noi e parla dell’America (US.A) e questo è reiterato all’interno del film, le ombre siamo chiaramente Noi, This is America e l’abbiamo capito.
un articolo di Andrea Borneto